12/01/2021
di Elisa Chiari
A partire dal confronto tra la propria esperienza e le difficoltà degli studenti in Dad in questo momento critico, Daniele Cassioli campione paralimpico di sci nautico manda un messaggio ad adulti, giovani e genitori
Daniele Cassioli ha 34 anni, una laurea in fisioterapia, una sfilza di medaglie d’oro nello sci nautico da far impallidire un raduno di generali. Tra le altre cose presiede un’associazione che si chiama Piramis Onlus che sostiene progetti solidali e ricerca scientifica. E gira le scuole parlando di sport e di disabilità. I ragazzi li conosce per questo li capisce. Anche quelli di Gallarate che hanno organizzato una maxirissa a Gallarate a due passi da casa sua: «Credo che c’entri il bisogno fisiologico di stancarsi che i ragazzi hanno a quell’età: c’è il rischio che se non hanno un hobby come la pittura o come la musica che si può coltivare anche in casa come la musica e o la pittura di questi tempi si sentano dimenticati e sfoghino la rabbia».
Molto verosimile, però la sua storia personale sembra dire anche un’altra cosa, che il modo di reagire alle difficoltà è anche un po’ nelle mani di ciascuno. Che cosa si sente di dire a ragazzi e genitori?
«Siamo di fronte a un problema enorme che non abbiamo scelto: in questo caso è la pandemia, nel mio caso è stata la cecità: vedo analogie, in un caso e nell’altro non possiamo fare niente perché magicamente scompaiano. Però possiamo decidere se fermarci a compiangerci e incolpare il destino o se provare a trarre il buono della vita da quello che c’è. Una cosa la vorrei dire ai ragazzi che ora si sentono in gabbia: la “lamentite” non ha mai fatto vedere meglio, non ha mai ridotto di una virgola la mia cecità. Se quando ti senti esplodere la rabbia, chiami un amico e ci fai una chiacchierata, ti ci confronti, ci fai una passeggiata, perché questo ancora si può fare, è probabile che il senso di frustrazione si ridimensioni. Troppe volte ci si illude che essere forti significhi farcela da soli, invece a volte la vera forza è avere il coraggio di chiedere aiuto».
Che cosa può fare un genitore?
«Tantissimo, senza i miei genitori non sarei niente di quello che sono. È andata così perché hanno educato prima Daniele e poi il cieco, hanno insegnato a tutti e due che c’è sempre una possibilità di non arrendersi, ma hanno potuto farlo perché mi conoscevano bene: ci si conosce parlandosi, a volte scontrandosi, l’ho raccontato in un libro Il vento contro (De Agostini). Ragazzi, parlate, comunicate quello che avete dentro, se volete che i vostri genitori vi capiscano».
E a chi può e deve decidere delle sorti dei ragazzi e della scuola che cosa vorrebbe dire?
«Mi rendo conto che è difficile, siamo in mezzo a un problema enorme, che il virus ha le sue regole e che tocca adattarsi. Ma sono preoccupato: questo momento di scuola a distanza aumenta le differenze tra chi ha la fortuna di avere genitori come i miei e chi dentro casa trova una situazione già problematica: differenze che c’erano già crescono. Penso a un bambino cieco: difficilissimo seguire lezioni a distanza. Lui può andare a scuola, è vero: ma non è la stessa cosa andarci perché ci vanno tutti e con tutti e andarci da solo perché sei disabile. Così si rischia di scavare un solco di diversità che può rimanere dopo la pandemia. Io spero che sia vero che la scuola è la priorità. Abbiamo problemi contingenti, contenere il contagio, ma abbiamo anche un investimento sul futuro da fare e la scuola lo è. Io giro tante scuole, mi rendo conto che, per come sono, per come sono le loro palestre, non sempre danno l’idea di essere una priorità. Nelle scuole ci sono tante realtà meravigliose, ma c’è anche il degrado. Poniamoci il problema. Adesso».